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Nella giornata internazionale della donna, ci è sembrato importante puntare i riflettori su un fenomeno spesso grigio e sotterraneo: il disturbo da gioco d’azzardo al femminile.

Nel 2014 la Relazione annuale al Parlamento evidenziava che il 42,9% della popolazione,  fra 15-64 anni, avesse giocato nell’ultimo anno almeno una volta e che il genere femminile mostrasse una minore attrazione per l’azzardo. Il 30,3% delle donne sulla popolazione adulta femminile contro il 55,7% degli uomini (DPA, 2014).

Il 4% delle donne giocatrici presentava un rischio problematico, in confronto al 6% degli uomini. 

Una prima riflessione che possiamo fare riguarda la difficoltà di reperire dati specifici aggiornati su questo fenomeno, che appare perciò sotto-studiato e di conseguenza sottorappresentato. 

Nel 2014 a livello nazionale sembrava esserci un gender gap elevato per l’attrazione al gioco d’azzardo, ma confrontando le percentuali di rischio dei giocatori, esse sono simili (6% uomini e 4% donne): sembrerebbe quindi che nelle donne, a fronte di una minore attrazione all’azzardo, quelle che giocano abbiano pressoché lo stesso rischio di sviluppare un problema rispetto agli uomini. 

In una recente ricerca sulla popolazione piemontese e il gioco d’azzardo si evince che più della metà del campione, fra i 18 e i 75 anni, gioca d’azzardo e non si evidenziano differenze significative fra uomini e donne.

Provando a fare uno zoom sulla realtà torinese abbiamo preso in esame i dati  del 2022 degli utenti con disturbo da gioco d’azzardo afferenti alla Struttura Semplice Dipartimentale Dipendenze da Comportamenti (Asl città di Torino): su un totale di 277 pazienti in carico 223 sono maschi, 54 femmine (in percentuali l’81% è di genere maschile contro il 19%). 

Provando a leggere i dati delle ricerche sulle abitudini di gioco della popolazione piemontese e sui pazienti in carico al servizio, possiamo porci delle domande sulla relazione fra gioco d’azzardo, genere femminile e patologia: 

  • le donne possono sviluppare in egual misura un disturbo da gioco d’azzardo, ma fanno più fatica a chiedere aiuto ai servizi di cura?
  • il fenomeno negli anni ha subito un cambiamento, anche in seguito ai cambiamenti nell’offerta?

Per cercare di rispondere a queste domande abbiamo intervistato le operatrici (psicologhe, educatrici professionali e assistenti sociali) della della SSD Dipendenze da Comportamenti di Torino.

Rispetto all'accesso ai Servizi di cura, i dati degli anni passati ci dicono che il numero di pazienti donne è minore di quello degli uomini: dal vostro punto di vista osservativo, è ancora così? 

Assolutamenti si

Secondo voi come mai? 

Abbiamo riscontrato, sovente, una diversa percezione dello stigma della malattia: quando si ammala di gioco un uomo, tendenzialmente sono le donne del nucleo ad accompagnarlo al servizio. La donna, che continua a ricoprire maggiormente il ruolo di cura, vive più spesso una condizione di solitudine ed è portatrice di sentimenti di vergogna più profondi, percependo uno stigma più radicato. Osservando le famiglie che arrivano al nostro Servizio, il giudizio ci sembra essere riversato più pesantemente sulle donne, come se fosse compromesso il ruolo di moglie e madre.

Un altro aspetto che riguarda invece la popolazione giovanile è il fatto che le donne giovani raramente arrivano negli spazi di cura, mentre i numeri dei coetanei maschi dalla Pandemia in poi, sono considerevolmente aumentati. La nostra ipotesi è che le giocatrici problematiche riescano maggiormente a coprire la loro attività di gioco e anche i debiti, perchè hanno più facilità a reperire denaro, con modalità che le espongono meno sul piano legale (in alcuni casi estremi, purtroppo, anche tramite la prostituzione).

Un’altra questione riguarda le fantasie rispetto al prendere contatti con il Servizio Pubblico: nello specifico è possibile che una madre giocatrice abbia il timore di perdere la “responsabilità genitoriale”, in quanto giocatrice e/o portatrice di debiti.

Riscontrate una differenza nella caratteristiche fra utenti donne e uomini?

Proprio in relazione alla maggiore difficoltà ad accedere ai servizi, le donne che accedono hanno delle situazioni molto compromesse su diversi fronti. 

A ciò va aggiunta la componente culturale, che riveste le donne del ruolo dell’angelo del focolare, immagine che viene tradita attraverso il disturbo da gioco d’azzardo. Questo anche per una maggiore scotomizzazione della dimensione del piacere nella vita delle donne, come se essa fosse meno “autorizzata” rispetto a quella maschile. 

Sono portatrici di un senso di fallimento più profondo rispetto alle aspettative familiari e sociali: sono più capaci di esplicitare la sofferenza emotiva, di cui sono più consapevoli, rispetto agli uomini.

Ritornando all’identikit delle donne che accedono al Vostro servizio: che tipo bisogni hanno?

Ci è sembrato di riscontrare in queste ultime un forte bisogno di relazione e socializzazione, a fronte di una maggiore solitudine percepita.

Un’altra variabile ci sembra essere quella economica: o non sono mai state economicamente indipendenti (soprattutto nella fascia over 65) e quindi il gioco diventa una ricerca di autonomia, oppure quando lo sono, spesso le risorse monetarie sono quasi totalmente indirizzate alla famiglia e nello specifico ai figli; in questo caso il gioco d’azzardo diventa un’illusoria possibilità di avere dei soldi per sé.

Rispetto ai tipi di gioco che ci sembrano maggiormente coinvolgere le donne ritroviamo il gioco online, il gratta e vinci e il lotto: questo probabilmente perché sono giochi che permettono di essere fatti in luoghi non connotati, non intaccando la gestione del quotidiano e della cura. Si sposano, inoltre, con il bisogno più marcato rispetto agli uomini, di celare questo comportamento,

Quali sono invece le caratteristiche delle giocatrici?

Quello che spesso riscontriamo in questa popolazione  è la presenza di una storia infantile in cui fin dalla tenera età sono state genitorializzate ed adultizzate, acquisendo il modello di cura dell’altro come prioritario.

Quando il ruolo di cura è l’unico che costituisce la loro identità, nel momento in cui avviene una separazione, lutto coniugale o figli che raggiungono l’autonomia ed escono di casa, si crea un vuoto esistenziale e identitario in cui il gioco può trovare facilmente spazio.

Altre volte il gioco d’azzardo viene visto come un atto di rivincita e vendetta, in particolare in quelle situazioni di coppia in cui la parte femminile non ha uno spazio suo. Non è un caso che ciò avvenga in situazioni di dipendenza affettiva da parte della donna. Aggiungiamo che questi due tipi di dipendenza comportamentale spesso sono associati.

Comune agli utenti uomini troviamo sovente storie traumatiche o di deprivazioni.

Ritenente necessario costruire delle modalità di aggancio, trattamento e di prevenzione differenti?

Assolutamente sì, ad esempio potrebbe essere utile costruire dispositivi gruppali al femminile per lavorare sui bisogni specifici.

Rispetto all’attività di prevenzione è necessario dividerla per fasce di età: per le giovanissime lavorare sull’indipendenza economica e sui fattori di protezione rispetto alle illusioni delle aspettative affettive e relazionali; sentono di non avere un valore e quindi giocare diventa un ribellarsi e non sentire la sofferenza, mentre per i ragazzi è qualcosa più legato allo sport, alla competizione, ad avere soldi in tasca.

Per alcune operatrici sarebbe importante lavorare sulla prevenzione nell’età di mezzo (30-45 anni), in quanto le giovani sono già più affrancate da una cultura che le vede in una posizione di dipendenza economica dal partner.

Come operatrici, quali sono gli aspetti che vi colpiscono nel trattare utenti del vostro stesso genere?

“Mi colpisce molto trattare donne coetanee ma fisicamente più anziane a causa delle loro vite difficili.”

“Io provo invece molto dispiacere verso quelle giocatrici madri che mettono in discussione il loro ruolo e portano in maniera preminente l’inadeguatezza materna, cosa che non percepisco così preponderante con i padri. Sono molto severe con loro stesse, non se lo perdonano, si sentono come sporche, come se avessero fatto qualcosa di brutto, come se avessero fatto violenza a qualcuno. Come se venissero meno alla loro missione di accudimento: ma non prendendosi cura di loro stesse, come possono prendersi cura di qualcun altro? Legato a questo discorso, io mi sento di avere un ruolo importante, nel poter alleggerire questo vissuto di stigma su di sé.”

“Per me è l’impotenza il sentimento che sento di più: mi sembra di lavorare su una dimensione, quella del ruolo, che percepisco come un’area difficile su cui intervenire; in alcuni casi la dimensione del piacere, oltre le mura domestiche, non è pensabile. Mi sento dalla sua parte, ma non riesco a trovare gli strumenti per sostenerla nella trovare un’altra risoluzione della problematica.”

 

 

Ringraziando le colleghe per le preziose riflessioni forniteci, vorremmo aggiungerne delle nostre.

Bisogna fare una precisazione rispetto al peso della dimensione culturale/patriarcale: rispetto alle fasce di età delle persone che accedono al Servizio, quelle di genere femminile sono in percentuale maggiore in quella compresa fra i 46 e 65 anni, con un picco fra i 56-65, intervallo generazionale che risente maggiormente di alcuni variabili culturali. Nella realtà torinese, in questo range, ritroviamo molti utenti con una storia di migrazione dal sud al nord Italia, con il portato emotivo e relazionale che questo ha avuto sull’identità e in termini di sradicamento relazionale dalla comunità di appartenenza. Un altro inciso da fare è sulle donne straniere, che ancora di più non riescono ad accedere a spazi di trattamento: questo non perché non siano soggette allo sviluppo di patologia, ma perché incontrano ancora più ostacoli di accessibilità, personali , sociali (immagine all’interno della Comunità di appartenenza), linguistica e culturale.
Riflettendo sugli aspetti specifici nominati dalle operatrici, (variabili culturali, dipendenza economica, sentimenti di vergogna e fallimento), si può immaginare che esistano  popolazioni di donne maggiormente vulnerabili a problematiche di ordine sociale, familiare e relazionale, che costituiscano delle sacche di sofferenza sommerse.

Infine, i temi citati dalle colleghe appaiono coerenti con i dati nazionali e le ricerche degli anni precedenti. 

In “Le donne e il gioco d’azzardo: una prospettiva internazionale su trattamento e ricerca”, di Prever. e Bowden-Jones (2008),  viene dedicata una sezione all’analisi del fenomeno in Italia.

Le autrici ci segnalano, stando alle ricerche all'esperienza clinica, che nelle donne è più tardivo l’incontro con il gioco, ma sviluppano più rapidamente un gioco problematico. Per Prever e Boeden-Jones una possibile spiegazione ce la fornisce già nel 1982 Custer:  il gioco ricreazionale potrebbe portare con maggiore rapidità  le giocatrici a un livello di disperazione (Custer, 1982), in riferimento alla minore disponibilità economica.  Questa rapidità innescherebbe una rincorsa alla perdita più impellente, stando a Brown e Coventry 1997 e  Toneatto 2002.

In conclusione, quello che colpisce è la scarsità di ricerca e letteratura di questo fenomeno, per poter pensare e strutturare modelli di aggancio e di trattamento specifici, a fronte di un’utenza in crescita e con bisogni specifici. Inoltre la ricerca presente si è concentrata prevalentemente su una fascia di età alta (40-65 anni): sarà necessario iniziare ad interrogarsi anche sulla popolazione più giovane (under 30), in relazione anche al genere, in quanto questa utenza target è totalmente assente nei servizi di cura.

 

Dottoressa Irene Galli

Dottoressa Silvia Valente



Bibliografia

Brown, S. and Coventry, L. (1997) Queen of Hearts: The Needs of Women with Gambling Problems, Melbourne: Financial and Consumer Rights Council

Custer R.L. (1982) Pathological gambling, in Whitfield A., ed., Patients With Alcoholism and Other Drug Problems, New York: Year Book Publishing

Dipartimento Politiche Antidroga (Presidenza del Consiglio dei Ministri) (2014) Relazione annuale al parlamento. Uso di sostanze stupefacenti e tossicodipendenze in Italia 

Gioco d’Azzardo Patologico in Piemonte Ricerca quantitativa, realizzata da Astraricerche per La Regione Piemonte, febbraio 2023.

Prever. e Bowden-Jones (2017), “Le donne e il gioco d’azzardo: una prospettiva internazionale su trattamento e ricerca”, Edizioni dEste.

Toneatto T., Boughton R. and Borsi D. (2002) A Comparison of Male and Female Pathological Gamblers, Ontario: Ministry of Health and Long Term Care.


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